Sepia officinalis: il microbioma povero - Microbiologia Italia

2022-05-27 21:05:43 By : Mr. Andy Zeng

In questo viaggio alla scoperta del microbioma degli organismi marini abbiamo osservato le comunità microbiche di invertebrati come le spugne, ma anche di vertebrati come gli squali. Se osservassimo anche al di fuori del mondo marino, potremmo facilmente notare che quando si parla di microbioma, si ha a che fare con un numero elevato di specie microbiche. Forse però, tra questi mai ci è capitato di parlarvi di un microbioma “povero”. E con “povero” non vogliamo intendere una qualche particolare condizione, bensì semplicemente un microbioma caratterizzato soltanto da due taxa differenti, tipico delle seppie, Sepia officinalis.

Conosciuta anche come seppia comune europea, Sepia officinalis (Fig.1), è considerata una specie migratoria. Parliamo qui della specie europea, quindi tipica del mar Mediterraneo, del Mare del Nord e Mar Baltico. Gli individui non superano i 49 cm di lunghezza del mantello. È considerata una specie migratoria perché si riproduce in ambienti poco profondi, vicini alle coste, e si sposta poi a profondità maggiori durante l’autunno e l’inverno. Si differenzia dalla seppia comune tipica delle coste del Sud Africa, contraddistinta dal nome scientifico Sepia vermiculata.

Come ben sappiamo, i microrganismi simbionti (Fig.2) ricoprono molto spesso un ruolo fondamentale. Essi possono modificare la fisiologia degli organismi che li ospitano, caratterizzare alcuni di questi conferendogli particolari capacità, come ad esempio la bioluminescenza nei calamari delle Hawaii. In altri invece rappresentano la fonte di composti difensivi, influenzando la resistenza di quest’ultimi ad eventi avversi o addirittura essere in grado di modificare la resilienza di organismi in grande pericolo di estinzione come i coralli. Da tutto ciò è ovvio quindi che studiare la composizione del microbioma degli organismi marini possa apportare grandi vantaggi sotto l’aspetto puramente conoscitivo. I campi in cui queste conoscenze possono poi essere applicate spaziano dal biorisanamento alla biomedicina.

La seppia comune è divenuta nel tempo soggetto di numerosi studi, grazie alla presenza di capacità mimetiche, a livello biomolecolare e comportamentale. Nel Marine Biological Laboratory (MBL) dell’università di Chicago, si è ben pensato di caratterizzare il microbioma di questa meravigliosa specie. L’idea di partenza del gruppo di studio era di correlare particolari comportamenti con la composizione del microbioma intestinale. Lo scopo infatti era quello di ottenere dati riguardanti il microbioma di questi animali, facenti parte della classe dei cefalopodi (Fig.3).

Questo perché appunto le nostre conoscenze sul microbioma di questa specifica classe sono pressoché pochissime. La maggior parte delle informazioni in nostro possesso, come affermato anche da Jessica Mark Welch (ricercatrice del MBL), riguardano infatti la simbiosi fra i batteri appartenenti al genere Vibrio e il calamaro delle Hawaii. La ricerca è avvenuta in collaborazione con l’università della California.

Attraverso l’analisi delle sequenze di ampliconi del 16S rRNA, e tecniche che prevedono l’utilizzo di FISH (fluorescence in situ hibridization) e qPCR (pcr quantitativa) i ricercatori hanno caratterizzato il microbioma di questo animale. In particolar modo hanno analizzato le branchie, la pelle e il tratto gastrointestinale delle seppie comuni. Le seppie sono state prelevate sotto forma di uova allo stato brado e coltivate in laboratorio. Inoltre, alcune delle seppie soggette allo studio, sono state trattate con enrofloxacin, un antibiotico comunemente usato dai veterinari su modelli acquatici. Questo tipo di aggiunta ha permesso di definire con maggior precisione il rapporto fra ospite e simbionte. Queste analisi hanno così portato alla classificazione dei componenti del microbioma di S. officinalis, composto da soli due tipi differenti di taxa batterici, Vibrionaceae (Fig.4) e Piscirickettsiaceae.

I ricercatori, come forse anche un po’ noi, sono abituati a sentir parlare di microbiomi infinitamente ricchi. Infinite sono le tabelle e le rappresentazioni grafiche degli studi condotti sulla composizione del microbioma di animali differenti. Non è questa però la situazione che si sono trovati a fronteggiare i ricercatori del MBL, questo perché appunto come specificato, i taxa ritrovati in questa situazione sono unicamente due. Data l’elevata quantità di vibrioni presenti (in particolar modo all’interno dell’organismo) il fattore antibiotico ha determinato una riduzione radicale delle popolazioni negli organismi trattati. Questo ha portato i ricercatori a rilevare una serie di altri microrganismi ritenuti però solo transienti piuttosto che colonizzatori stabili delle parti anatomiche in analisi.

In questo caso quindi parliamo della dominazione da parte dei due taxa, Vibrionaceae e Piscirickettsiaceae (Fig.5). Il tratto gastrointestinale sembra essere in particolar modo popolato da microrganismi appartenenti alla prima famiglia (Vibrionaceae). Di questa sono stati distinti in particolar modo due generi Vibrio e Photobacterium, caratterizzati da due sequenze di ampliconi variabili completamente differenti ma appartenenti allo stesso taxon. Questi due generi vanno a comporre ben il 99% circa del microbiota dell’esofago, con percentuali minori nel resto del tratto gastrointestinale. Le branchie invece sono risultate essere dominate dalla presenza di una solo sequenza appartenente alla famiglia dei Piscirickettsiaceae, con una percentuale del 96,9%.

Sono molte le associazioni tra cefalopodi e batteri appartenenti al genere Vibrio e alla famiglia Vibrionaceae. Come la già menzionata associazione V. fischeri e calamari, l’associazione con Alpha- e Gammaproteobacteria è frequentissima all’interno delle ghiandole nidamentali dei cefalopodi. Ma la presenza di batteri appartenenti alla famiglia Vibrionaceae all’interno del tratto gastrointestinale, simbionti usuali del medesimo tratto di pesci e para larve del polpo comune, ha indotto invece gran stupore. Secondo altri studi, questi batteri sono produttori di chitinasi, proteasi, amilasi e lipasi, il che porta appunto a suggerire un’associazione del tratto digestivo a scopo di facilitare la digestione degli ospiti.

L’altra ipotesi riportata dai ricercatori invece riguarda la possibile patogenicità dei batteri in questione. Sono varie, infatti, le specie di Vibrio in grado di arrecare danni patogenici e provocare anche fenomeni di mortalità tra calamari e polpi. Questo anche perché non risultano inusuali le specie dello stesso genere dotate di patogenicità nei confronti di molti organismi, tra cui molti marini, come ad esempio i coralli, parlando di V. coralliilyticus. Quindi ipoteticamente questi potrebbero arrecare danno anche ad individui della specie Sepia officinalis.

Questo studio apre la strada a molte altre ricerche che potrebbero appunto caratterizzare la specificità di queste famiglie, andando a valutare se effettivamente queste sono specie stabili oppure solo transienti. In particolar modo studiare il microbioma povero di questa specie può portare a chiarire diversi aspetti dell’associazione ospite-simbionte in condizioni naturali. Data la semplicità del modello, questo tipo di organismo potrebbe appunto essere utilizzato come modello per futuri studi che mirano a valutare le influenze del microbiota su organismi invertebrati.

Data la particolare composizione microbica della popolazione (quasi esclusivamente composta da Vibrionaceae) del tratto gastro-intestinale, questi dati possono portare allo sviluppo di studi estensivi riguardanti l’asse stomaco-cervello. Tutto ciò con possibili influenze da parte del microbiota stesso su diversi aspetti comportamentali della specie o in generale degli invertebrati stessi. Merita una menzione speciale anche lo scopo di conoscere al meglio organismi che potrebbero essere allevati in acquacoltura e consumati poi dall’uomo stesso. Questo fattore da così una visione più ampia del perché studiare il microbiota di questi fantastici animali.

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