Quando diventare mamma porta alla depressione - HuffPost Italia

2022-08-12 19:03:29 By : Ms. Ellen Zhao

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Ho sentito molte mamme che conosco parlare di uno specifico tipo di depressione ad alto funzionamento. Ci alziamo dal letto al mattino perché ci sono delle piccole persone che dipendono in tutto e per tutto da noi. Non possiamo limitarci a ignorarle quando piangono o ripetono “mamma, mamma MAMMA!”. Le prepariamo per andare a scuola, le nutriamo e facciamo ciò che va fatto.

Ma è tutta una pantomima. Dentro ci sentiamo morte, dei gusci vuoti. Riusciamo più o meno a fingere di fronte ai bambini, ma davanti a nessun altro. Ci sentiamo completamente prosciugate. Fuori riusciamo ancora a funzionare, ma dentro siamo paralizzate. Non c’è speranza, non vediamo alcuna luce in fondo al tunnel.

Non dico che non ci siano mamme che soffrono di quel genere di depressione debilitante che ti rende incapace d’alzarti dal letto. Ma tante madri sopportano quest’altro invisibile genere di peso morto.

La mia, di depressione, s’affacciò dopo un anno trascorso a lottare contro le più grandi difficoltà che mi sia mai ritrovata ad affrontare. La mia figlia adolescente era caduta in un profondo stato di depressione che l’aveva portata a tentare il suicidio, e quasi ad esser ricoverata. Il mio bimbo invece era ciò che avremmo eufemisticamente definito “vivace”: terribilmente carico d’energia, ostinato e, a quindici mesi, impavido arrampicatore professionista.

Per un anno intero ho dato fondo a tutte le mie energie per cercare di tenere entrambi i miei figli in vita, in un modo o nell’altro. Ho attinto sempre più in profondità alle mie energie fino a prosciugarne il giacimento. E anche quando il pozzo era stato prosciugato, non importava. Dovevo andare avanti. Avevano comunque bisogno di me.

Il corpo era stanco e dolorante, e mi ritrovavo spesso a chiedermi se mi stessi ammalando. Ma andavo avanti. Anche quando mi ridussi ad esser completamente apatica e disperata. Che avessi bisogno d’aiuto lo scoprii solo quando un giorno mi attraversò questo pensiero: spero che la mia famiglia mi voglia bene nel ricordo di ciò che ero, perché in me non c’è rimasto niente di buono.

Ricordo che stavo caricando i vestiti nell’asciugatrice, un’impresa da Sisifo, e per un minuto intero rimasi come paralizzata. E grazie a Dio un po’ d’esperienza con la depressione ce l’avevo, grazie a Dio nella mia testa ci fu una voce che mi disse: Fermati. Così non va BENE. È il momento di chiedere aiuto.

Le mamme che non lavorano sono particolarmente a rischio di depressione. L’isolamento dato dallo starsene a casa tutto il giorno senza adulti; la monotonia del fare sempre le stesse dannatissime cose senza mai sentire d’aver ottenuto alcunché; l’assenza di tempo ed energia per la propria igiene più basilare; a volte la più assoluta mancanza di alcun riscontro positivo; l’ottenebrante infinita ciclicità. Mai una pausa, specialmente se non hai la fortuna di un figlio che dorme ininterrottamente. Sempre a disposizione, ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette.

A volte mi ritrovavo a fantasticare sul giorno in cui sarei tornata al lavoro solo per potermi prendere una pausa caffè di un quarto d’ora e interagire con altri adulti.

E l’assenza di sonno. Oh, l’assenza di sonno. Gli effetti della privazione di sonno non potranno mai essere esagerati. Del resto c’è una ragione se la usano come forma di tortura. La privazione di sonno e la depressione formano un circolo vizioso che in assenza d’aiuto risulta impossibile da interrompere.

Il mestiere di madre è già abbastanza difficile. Ma se ci aggiungi un figlio che soffre di un disturbo psicologico, problemi cronici di salute o disabilità, quello sforzo diventa monumentale. Conosco tante mamme così, e molte di loro hanno sofferto la depressione.

Quando trascorri la tua vita, la tua VITA, portando tuo figlio agli appuntamenti, battendoti per garantirne l’accesso all’istruzione, gestendone i problemi di salute, affrontandone le crisi e chiedendoti dove troverai tutti quei soldi… di tempo per l’esercizio fisico, per la cura di sé e per tutte quelle altre cose che dovresti fare per te stessa non ce n’è.

Verso la fine di quell’anno più difficile della mia vita mi trovai a parlare al telefono con una mia buona amica che si era trasferita lontano. Eravamo vicine di casa quando i nostri bimbi erano piccoli, e ci eravamo vicendevolmente offerte grande sostegno. Le raccontai del periodo che stavamo attraversando. “Jami” mi rispose, “che genere di sostegno hai ricevuto TU in tutto questo?”.

Nessuno. Non ne avevo ricevuto affatto. Fino a quel momento non me n’ero neanche accorta.

A un certo punto arriva il momento in cui devi solo FERMARTI e metterti la maschera dell’ossigeno per prima. Non solo per noi stesse, ma anche perché se non ci prendiamo cura di noi stesse diventiamo completamente incapaci d’agire. Non siamo più d’aiuto per nessuno, tanto meno per i nostri figli, se ci riduciamo a un guscio vuoto.

E il sostegno è la prima cosa in assoluto. Non possiamo farcela da sole.

Ho cominciato facendo terapia, e cogli antidepressivi, che per come la vedo io sono risultati decisivi nel farmi tornare in me. Ma mi sono anche rivolta agli amici. Può esser difficile mostrarsi tanto vulnerabili, specie di fronte al perdurante stigma della malattia mentale. Ma accettare la vulnerabilità è ciò che ci rende forti. Son fortunata ad esser circondata da alcune donne meravigliose all’interno della mia comunità, ma creare dei legami dipende da me.

C’era un’amica che si era aperta con me a parlare dei problemi mentali di suoi figlio, e delle sue difficoltà. C’incontrammo per bere qualcosa. Mi presentò un gruppo privato online di mamme con esperienze analoghe. Il sollievo dato dal sapere di non esser sola, di avere un luogo sicuro per dire qualunque cosa provassi, è indescrivibile. Il peso che così tante di queste donne portano su di sé è enorme, sono le mie eroine, la mia definizione di coraggio e forza. Avere una comunità di sostegno di questo genere fa tutta la differenza del mondo.

La cosa che ho scoperto è che non esiste alcun “equilibrio”. Quando mi prendo del tempo per prendermi cura di me, che siano cene cogli amici, terapia, esercizio fisico, o anche solo fuggire da sola di casa — c’è sempre un prezzo da pagare. C’è qualcos’altro che resta da fare. Non c’è modo di riuscire a “fare tutto”. Possiamo solo fare ciò che riusciamo a fare. Per cui a qualcosa bisogna rinunciare.

E VA BENE COSI’. Perché mai una casa pulita dovrebbe esser più importante della nostra salute mentale? È folle. Di cosa potrebbero mai aver maggiore bisogno i figli se non di una mamma a pieno regime in grado di coltivare legami?

Siamo noi il loro bisogno più radicato. Non i calzini nel cassetto dei calzini. E se avete delle amiche che vi fanno sentire in colpa per questo, allora avete bisogno di farvi delle nuove amiche. Non possiamo riuscirci da sole. Una parte importante del prendersi cura di sé sta nel lasciar entrare nella propria vita solo persone di sostegno.

Ad esser onesta, ci sono degli aspetti della mia vita che sono un casino, in questo momento. Ma non sono un guscio vuoto. E credo che sia un buon affare.

Questo post è stato pubblicato per la prima volta su Huffpost Usa ed è stato tradotto da Stefano Pitrelli

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