Personaggi illustri di Agrigento: Giuseppe Sinatra nel ricordo degli agrigentini -

2022-07-08 22:37:02 By : Mr. Andrew Wei

creò quella «Galleria Sinatra» dalle cui ampie sale si gode lo spettacolo della valle dei Templi in tutta la sua estensione

19 Giugno 2022 //  by Elio Di Bella

Giuseppe Sinatra nacque in Agrigento il 1° dicembre 1863.

Frequentò le scuole tecniche: ottenuta la licenza, il padre lo volle con sé nel suo commercio, dove già erano altri due figli maggiori. La famiglia era numerosa: nove figli maschi e due femmine ed eccetto i primi tre tutti frequen­tavano le scuole.

In quel tempo valorosi pittori lavoravano al teatro comunale. Sacco dipin­geva sotto forma di giovani efebi i due fiumi agrigentini: l’Akragas e l’Ipsas, Tavella e Bellone gli ornati della sala e poi il Queriau il famoso sipario con Esseneto che ritorna vincitore dallo stadio di Elea accolto con onori divini.

Il Sinatra ragazzo scappava di tanto in tanto dal negozio per veder dipin­gere ornati, festoni, figure. Il colore era la sua passione: soldato a Firenze studiò i capolavori dei musei e delle gallerie.

Nel 1905 conobbe a Palermo Francesco Lo Iacono di cui aveva ammirato alcuni quadri all’Esposizione nazionale del 1892 tra cui una marina «Sulla via di Romagnolo» acquistata dal re. In quell’ anno commise a lui un primo quadro seguito da moltissimi altri. Al maestro chiedeva la riproduzione di lavori che avevano attirato l’ammirazione dei critici ed il Lo Iacono riproducendo il soggetto variava spesso ciò che poteva riuscire a migliorare l’origi­nale concezione.

Nei riguardi del committente aveva ragioni particolari di creare opere non a scopo commerciale: sapeva che il Sinatra le studiava lungamente e minuziosamente con l’attenzione del conoscitore e sapeva che aveva intenzione di farne una raccolta: perciò lo studio dell’artista a superare sé stesso. Cosi andò formando con sacrifici personali quella collezione che continuò anche dopo la morte del maestro avvenuta nel 1914. Uno dei quadri « Giornata di vento » era sul cavalletto dello studio del Lo Iacono e quasi finito per conto dell’amico quando la morte lo colse.

Il Sinatra volle che tra i quadri fosse il ritratto del maestro che fu ese­guito dal valoroso discepolo Francesco Camarda. Siamo nel 1926. Il Museo civico situato nei vani terrani di Piazza S. Sebastiano umidissimi ed ammuf­fiti con gl’intonaci in gran parte caduti per la filtrazione di acque dei terra­pieni addossati e delle terrazze soprastanti con l’aiuto finanziario del capitano Hardcastle, con il lavoro assiduo costante ed appassionato di pochi volente­rosi cambiò aspetto: con l’ingresso da Piazza Municipio, con la graduale annes­sione delle sale del fabbricato del Comune al primo e secondo piano e delle altre dell’Amministrazione provinciale si creò un complesso di 22 sale. Nel 1933 il Sinatra chiese ed ottenne 4 grandi arieggiate e luminose sale del 2° piano per fare un deposito fiduciario al Museo di 84 quadri tutti del Lo Iacono e del ritratto di lui del Camarda. In seguito nel 1943 aggiunse altri 15 quadri dei discepoli Camarda e M. Mirabella e di altri pittori: Marchesi, De Maria Begler, De Francisco, che furono collocati in altre due sale a parte. Oggi la pinacoteca del Museo occupa 8 saloni, di cui 6 per la Galleria Sinatra e 2 per l’antica collezione del Museo.

Egli stesso, il Sinatra, volle collocare i quadri nelle varie sale studiando per ciascuno di essi le migliori condizioni di prospettiva e di luce. Così creò quella «Galleria Sinatra» dalle cui ampie sale si gode lo spettacolo della valle dei Templi in tutta la sua estensione. Da quei tramonti da quelle ma­rine da quegli acquitrini mirabilmente riprodotti si corre ai campi, alle spiagge siciliane in un sogno di arte: dalle terrazzine delle sale l’occhio riposa sul verde perenne della vallata, ricca di storia, che si stende fino alla cornice azzurra del mare. Il Sinatra, temperamento di artista, dipinse alcuni qua­dri ispirandosi all’arte del maestro. Due di essi, riproducenti, il «Tempio della Concordia » sono al Museo. Tutti i suoi risparmi, frutto di sacrifici, spese per l’acquisto dei dipinti.

Tutte le domeniche in compagnia di giovani artisti percorreva la zona archeologica ricercando punti da cui si potesse avere nella cornice di alberi una veduta d’insieme da dare risalto ai monumenti. I quali fino allora erano stati presentati dai grandi studi fotografici (Sommer, Anderson, Alinari, Broggi) diciamo così, nudi, dando risalto alla forma architettonica: egli li rappre­sentò sempre nella cornice naturale della nostra meravigliosa campagna piena di colore di sole di verde specie quando poté avere lastre colorate che egli donò al Museo. Considerò il deposito dei quadri al Museo come un dovere cittadino: poteva tenerli in casa: averli per sè in ogni momento: ma ritenne che non egli solo, ma tutti i concittadini, tutti gli studiosi dovessero goderne. A chi proponeva onorificenze rispondeva che l’offerta non meritava alcuna ricompensa.

Nel 1933 fu inaugurata, presenti le autorità e folla di cittadini, la Galleria Sinatra con i primi 85 quadri, cui nel 1943 furono aggiunti gli altri 15 e nel 1949 altri 2, come detto, dipinti dal donatore, offerti dal fratello Francesco.

Nel 1939 l’Amministrazione del Museo al completo gli offrì nella sua casa una medaglia d’oro con la dedica : « A Giuseppe Sinatra munifico creatore della Galleria Sinatra il Museo di Agrigento con viva riconoscenza. 21 aprile 1939 ». Fu lieto che nel periodo bellico la collezione fosse portata a Bivona con l’altro materiale del Museo per preservarla dai danni di guerra. È morto il 1° gennaio 1948.

Per testamento il deposito diventa donazione al Comune di Agrigento « con espressa condizione che tutte le cento pitture (nessuna esclusa) dovranno sempre far parte della Galleria Sinatra » e nel caso che esso venga statizzato la Galleria subirà la sorte di tutti gli altri oggetti in esso conservati.

Il Consiglio Comunale di Agrigento nella riunione del 20 febbraio 1948 dopo commosse parole di elogio del Sindaco grande uff. Lauricella e del Comm. Avv. Bonfiglio decise all’unanimità di intitolare la Piazza S. Seba­stiano, sulla quale sporgono le terrazzine della Galleria Sinatra, al nome di Giuseppe Sinatra.

Poche parole, amico carissimo, ma per dire la tanta commozione pro­vata, l’altra sera, quando venuto a casa Tua in visita di Capodanno, quasi assaporando il godimento della consueta festosa accoglienza, Ti trovai invece agonizzante: ma per dire che tale commozione perdura ancora perchè, con la santa Tua immagine davanti agli occhi dell’anima, sento che è venuta meno a me una amicizia purissima e perchè non mi pare di scorgere, qui sulla terra, altra creatura che Ti somigli.

Non particolari di Te io dirò a questi amici ed ammiratori, convenuti a renderti onore, non particolari della Tua vita, mentre spargendo i fiori della ricordanza a favellando di Te per appagare il mio cuore, sento di dover dire che abbiamo perduto un gran Cuore, cui dovrà essere consacrata perenne la gratitudine della Città per il munifico dono fatto al Museo Civico dei cento inestimabili quadri di Lo Iacono, di Camarda, di Mirabella, esposti nella Galleria che porta il Tuo nome: — che abbiamo perduto un amatore di arte ed un artista al contempo, del quale la Tua innata modestia non fece apparire il grido, ma che i venturi ammireranno nella stessa opera Tua, come gli intimi ammireranno la perfezione del pennello e la conservazione elevata, con la quale Tu ci trasportavi in clima non comune: — che abbiamo perduto prin­cipalmente un illustre concittadino di infinita bontà e di candido pensiero, che, amò, quasi sopratutto, la sua Agrigento.

Darà — non ne dubito — la Civica Amministrazione chiaro e giusto ri­salto al Tuo nome, ma i Tuoi concittadini debbono trasfondere nell’anima propria, come una promessa dinanzi alle spoglie Tue mortali, il perseverante concetto di patrio amore, perchè, ove il ricordo non sia una promessa, non si avrà un insegnamento, una spinta all’azione, un conforto a sperare: perchè per essere degni di onorare i grandi bisogna seguire gli esempi che ci lasciano e sperare che da sotterra ci guidino sempre, altrimenti ogni ricordanza è pro­fanazione.

Questo io voglio dire ai Tuoi concittadini di Te, che l’arte nutristi di entu­siasmo e di sacrificio. Ricordo! Tu un giorno mi hai confessato questi sacri­fici: « La famiglia era numerosa e bisognava ai miei fratelli dare titoli di studio e possibilità di elevarsi ».

« Non frequentai mai circoli, nè caffè, nè teatro: tutti i miei piccoli ri­sparmi accumulai per l’acquisto di opere pregevoli e di cose e strumenti ne­cessari alla mia passione artistica ».

E ben riuscisti a dare risalto ai monumenti della valle dei Templi, inducendo altri artisti a seguire il Tuo concetto di rappresentarli nella naturale loro cornice, perchè Tu vivesti senza invidia, come un santo, profondendo signorilmente il tuo pensiero e il tuo sapere a chi ne abbisognasse, incitando i timidi, tutto preso come fosti ad esaltare le bellezze della Tua città, con la modestia dell’animo Tuo, che ha imposto oggi, a mezzo di una lettera nobi­lissima a tuo fratello Francesco, per tutti i Tuoi familiari, che modesti fos­sero pure i funerali. «Non catafalchi, non organi, non cordoni, ma benefi­cenza »; la quale è piovuta oggi largamente.

Modestia della persona, ma altezza di mente, aperta ad ogni forma di arte, tal chè spesso, facendomi gentile sorpresa di recitare qualche mia strofe, mi facevi inoltrare nei campi della poesia, profumando con la parola entu­siasta e con acuto spirito critico, qualche breve ora di godimento.

Modestia della persona, ma ferrea volontà, per mezzo secolo o quasi, disci­plinata ad una alimentazione esclusiva di latte: ferrea volontà mirabile in un corpo fragile ed in una anima tanto candida.

Modestia della persona e nobiltà di sentimenti, che, giovane ancora, du­rante l’apotesi garibaldina, Ti ebbero entusiasta della conseguita Unità della Patria, mentre in questa avanzata età, con mente sempre lucida e pensiero equa­nime, dolorasti sulle sventure della Patria, auspicandone il risorgere : mentre volgendo lo sguardo alla sofferente umanità —- non sono passati ancora otto giorni — facesti pervenire a me il contributo di lire mille per la campagna pro Stati Uniti d’Europa, unica e santa aspirazione per la quale valga oggi lottare. Il tuo scritto, che fu forse il Tuo ultimo, dice: « per dare sviluppo alla Santa Idea della Pace ».

Anima aperta dunque, nobile e giusta, che alla famiglia dedicasti il la­voro, all’arte l’anima ed il sentimento, alla città natale l’esaltazione delle sue bellezze col dono del prodotto dei tuoi risparmi, alla Patria il compianto e la fede, all’umanità, il pensiero e l’augurio di pace perenne.

Giuseppe Sinatra, nel nome della più pura delle amicizie, col saluto della Tua famiglia, io porgo a Te quello dei Federalisti Europei e quello dell’Arte e degli Artisti d’Italia.

PEPPINO SINATRA IL « BENEMERITO » PER ANTONOMASIA

DONÒ un’intera PINACOTECA ALLA CITTA DI AGRIGENTO

DOPO AVER PROFUSO I SUOI RISPARMI A BENEFICIO DEI PITTORI

Peppino Sinatra è il benemerito per antonomasia. Si era fatto da sè, a poco a poco. Commercio ed amore per l’arte sembrano termini antiteci. Qual­che volta però è possibile che non lo siano. È il caso di eccezione: di Peppino Sinatra.

Era cresciuto nel negozio di seterie, nastri, pizzi, bottoni, spilli, giocat­toli. Molti anni fa il negozio era piccolo. Vi si aggirava attento e sereno, meto­dico e sicuro in un cerchio di affari: vendite e compere all’ingrosso e al minuto. Viavai di signore e signorine, di massaie e domestiche, di provinciali.

Per tutti egli aveva la parola esatta, assumeva con tutti l’atteggiamento benevolo, esprimeva per tutti un sorriso di autentica dolcezza, che non è comune ai commercianti. Mai era stanco. Mai s’impazientiva. Dirigeva senza toni fuori chiave, ma con tranquilla fermezza. Consigliava quasi chiedendo scusa, suggeriva come un vecchio amico.

Il negozio cresceva, gli affari si sviluppavano, intrecciandosi fra negozi e negozi di città e di provincia. Ora correva a Palermo, la sua capitale; vi si riforniva di merci; vuotava le saccoccie piene di denari: chè pagava a pronti, e non voleva debiti, e cambiali, e complicazioni. Chiarezza e semplicità nel commercio. Preciso e lucido, anche dopo tanti viaggi, tante fatiche, qualche delusione, un’amarezza, una contrarietà. Tendeva al disegno, naturalmente.

A Palermo ammira monumenti e palazzi, visita e studia musei e quadri. Poi si rituffa negli affari.

Poi è di leva, e sotto le armi viene inviato a Firenze. È la sua cuccagna. L’arte lo afferra e lo trascina in quel dominio spirituale che è vicino a Dio. (Non a caso Dante la disse nepote a Dio). È una gioia sublime per lui la con­templazione dei quadri degli Uffizi e di Pitti. Si raccoglie, medita, studia per suo conto. Tiene per sè impressioni, sensazioni, godimenti. Riconosce la ve­rità dell’insegnamento leornardesco: la pittura è più grande della musica stessa, più grande di tutte le arti. L’istinto lo trascina. L’estro lo accende.

Se fosse poeta, esprimerebbe liricamente l’empito del petto. Se fosse pit­tore, terrebbe il pennello come un bulino, come una bacchetta magica, Come un piccolo scettro regale. L’ebbrezza gli brucia le fibre riposte.

Il servizio militare era dunque finito. Peppino Sinatra se ne era tornato in paese con l’animo gonfio di un godimento inesprimibile. Portava nel cuore come in uno scrigno i nomi dei giganti dell’Arte.

Riprendeva gli affari. Pensoso e riflessivo, candido come un fanciullo, cri­tico di sè stesso, prudente nel giudicare l’opera d’arte degli altri. A Palermo aveva conosciuto Francesco Lojacono. Ma Peppino Sinatra aveva fiutato il maestro del pennello. L’amicizia e l’arte strinsero le loro anime; l’uno, il pittore creatore di quadri stupendi; l’altro, il cercatore d’impressioni nobili e austere.

I risparmi modesti di Peppino Sinatra erano destinati ad alimentare il lavoro di Francesco Lojacono. Il quadro nasceva in collaborazione. L’idea iniziale era dell’uno e dell’altro. L’ispirazione turbava la mente dell’uno e del­l’altro. L’esecuzione era opera del maestro sotto l’occhio vigile del commer­ciante innamorato dell’Arte.

Così apparivano le nuvole, splendeva l’aurora, dilagava la porpora del tra­monto, emergevano i rami degli ulivi secolari e contorti, trionfavano in una orgia di profumi le rose, il gelsomino, la zagara. Alberi e strade, creature vi­venti, di ogni età, carretti siciliani in cammino nell’interminabile stradone abbagliante.

Ottantaquattro quadri. Che farne? Dove metterli? E poi altre conoscenze e altri quadri: Camarda, Mirabella, De Francisci, Marchesi.

Scoppiò il primo conflitto. I prezzi balzarono in alto. Lui volle frenarli fieramente. Finita la lunga giornata, se ne saliva in una cameretta tutta sua in cima alla casa situata sopra la collina, e si ribeava tutto. Lassù era un signore dimentico delle tristezze terrene. Ad ora ad ora un povero picchiava alla porta, e la porta si apriva, e il povero non aveva bussato invano.

Al cospetto dell’orgia dell’alba e dell’occaso, davanti ai templi dorici, fra i mandorli e gli ulivi e le vigne lontane, e l’immenso mare, in tempesta o calmo turchino e azzurro, egli si ribeava perfezionandosi come un eremita, nel­l’umiltà che non è vanità nè civetteria, che è invece virtù magnifica, eletta da Gesù.

Allora egli era un alunno di S. Filippo Neri o di S. Giovanni Bosco: che aiutava i giovani, e inculcava la speranza nei cuori delusi, stanchi in mezzo a tanto rovinìo di ideali e a tanta dissoluzione dei valori morali.

E fece il gesto inevitabile: donò tutta la pinacoteca alla città di Agrigento, alla sua città natale, dove aveva lavorato con assidua lena senza un lamento, dove aveva aiutato i poveri, i diseredati, gli afflitti: un fraticello senza saio, ma con il precetto francescano in fronte. Benemerito di eccezione. La sua terra, la Sicilia e L’Italia non dovranno dimenticare.

DI PIETRO GRIFFO – SOPRINTENDENTE ALLE ANTICHITÀ

Mi si vorrà perdonare se, ricordando a qualche tempo dalla Sua terrena dipartita Giuseppe Sinatra, io non sappia considerarLo che dal mio punto di vista, dalla sfera d’interessi propria della mia specifica attività. Si è che altri potrà più degnamente dire della Sua vita operosa nel tempo stesso che mo­desta, della Sua ineguagliabile serenità di mente e di cuore, delle Sue naturali doti di uomo aperto alla comprensione e alla carità sotto ogni forma per i Suoi simili. E chiunque potrà testimoniare della Sua bontà, di quella genti­lezza, che sembrava di altri tempi e di altri mondi, con cui Egli, al di là di una iniziale impressione che poteva destare di persona comune, s’imponeva all’ammirazione e al rispetto di chi aveva la fortuna d’incontrarLo e di sen­tirsi attratto nell’atmosfera cordialissima della Sua ineffabile dimestichezza.

Il mio ricordo di Giuseppe Sinatra è ricordo dell’artista, del mecenate, del cittadino ch’ebbe vivo, come pochi sanno averlo, il senso dell’amore per il « natio borgo », che fu in Lui affetto più grande che non si possa sentire per persona vivente, fu ammirazione senza limiti per le sue bellezze di natura e i suoi titoli di storia e di civiltà, fu idolatria delle sue luci e dei suoi colori, della sua valle magnifica e dei suoi monumenti gloriosi e solenni.

Di che cosa se non di queste soddisfazioni affettive e morali viveva il ge­neroso vegliardo negli ultimi anni della Sua vita terrena, quelli nei quali ebbi la ventura di conoscerLo? Era commovente e maraviglioso vedere come, nel tumulto affannoso dei nostri tempi, un uomo potesse astrarsi dal travaglio di tutto un mondo che sembrava impazzito e rifugiarsi, con pienezza di sentire, nella contemplazione della natura, nell’esaltazione della bellezza, nella pace infinita dele Sue fide fantasie!

Il balcone della Sua stanza al terzo piano perennemente aperto sull’incanto della Valle dei Templi, da cui saliva l’effluvio delle erbe e dei fiori e insieme la voce sommessa di arcane lontananze; e dal vano del balcone, per ore del cui trascorrere sembrava non si accorgesse, ecco il Sinatra fermo a spiare con un lungo cannocchiale ogni riposta bellezza della Sua terra amata, a tentare di rendere più vicine al Suo occhio ed al Suo cuore questa o quell’altra tra le mille cose a Lui note, che non gli era più possibile, per la malferma salute, raggiungere materialmente, come in altre epoche della Sua vita, e sfiorare col Suo tocco amoroso, e render vive nel Suo animo capace di una sensibilità senza confronti.

Animo di artista, se pure dell’artista non ebbe, o ebbe limitate, le possi­bilità di espressione. Tentò Egli qualche volta, con un amore degno di migliore fortuna, la tela e i colori, ed anelò di ritrarre le malie della Sua valle bene­detta, di trasfondere nella materia di cui il quadro si componeva la Sua ansia, i Suoi palpiti, i Suoi ideali. E non riuscì come voleva, come si struggeva di poter fare. Ed allora commise ad artisti amici, come il Lo Jacono e il Camarda, che della Sua amicizia si onoravano e della Sua ospitalità godevano di tanto in tanto le riposanti dolcezze, la traduzione vivente del Suo sogno, l’interpretazione dei Suoi aneliti, l’attuazione dei suoi fantasmi. Proponeva i soggetti, indicava i punti di vista, suggeriva forme e colori, guidava più che seguire la mano e la fantasia del pittore, e gioiva dell’opera così amorevol­mente compiuta, cui si sentiva giustamente legato come a Sua creatura, che per nulla al mondo avrebbe permesso che andasse lontano dalla Sua casa acco­gliente e luminosa.

Sorse così il primo nucleo attorno a cui andò sviluppandosi una Pinaco­teca di arte moderna : paesaggi in gran parte, e marine, e colli aprichi, e man­dorli fioriti, e strade assolate, e cieli di cobalto, e atmosfere splendenti, e ruderi maestosi (i templi di Agrigento): tutto il mondo della Sua anima e del Suo sentimento, tutta la ragione del Suo essere, tutta la gioiosa aspirazione della Sua intima umanità.

In mezzo alle «Sue » tele Egli visse lunghi anni di felicità senza nome. Ma non era egoistica codesta Sua soddisfazione? non si esauriva in essa il Suo amore per la terra natale? non era caduca la Sua opera così generosamente perseguita? Ed ecco il Sinatra compiere quel gesto che era logico aspettarsi da un temperamento come il Suo. I Suoi concittadini dovevano godere con Lui e oltre di Lui le gioie ineffabili che sola l’Arte può dare. La sua Agrigento doveva custodire senza dispersioni il tesoro che in nome di lei Egli aveva a mano a mano raccolto. E delle ragioni ideali che avevano sempre ispirato il i Suo civismo doveva rimanere un tangibile segno, che valesse di esempio e di monito alle generazioni avvenire.

Il Museo Civico, delle cui recenti fortune Egli si era amorevolmente com­piaciuto, ebbe così, qualche tempo prima che Egli morisse, il dono della Pinacoteca al completo. Essa costituisce la « Galleria » che giustamente si è voluta intitolare al Suo nome. Nelle belle e luminose sale del primo piano, dove le cento tele sono passate a svolgere la loro nuova missione, che è mis­sione eterna di ideali ammaestramenti e di umano progresso, lo spirito di Giuseppe Sinatra non c’è dubbio che sarà sempre presente a vigilare sulla vitalità della Sua provvida istituzione. Agrigento Gliene sia grata, come Gliene siamo grati tutti quelli che Gli volemmo bene. Ed il Suo esempio non rimanga isolato: altri cittadini qui vivono, che potrebbero bene ispirarsi alla Sua vita quant’altre mai umile e quant’altre mai generosa!

Categoria: Storia Agrigento Tag: agrigento, agrigento racconta, agrigento storia, galleria sinatra, girgenti, giuseppe sinatra, lojacono, sicilia, valle dei templi

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