L'odio genera la morte, l'amore genera la vita.Gorizia, Storia della Berlino italiana

2022-06-03 20:46:44 By : Mr. Harry Hang

Il pittore e scultore tedesco Max Klinger definì la città di Gorizia: “La porta più bella aperta sull’Italia”. L’artista ovviamente si riferiva alla stupefacente bellezza dei suoi paesaggi, nonché al fascino mitteleuropeo dove culture ed etnie si incontravano e si mescolavano alla perfezione. 

In realtà invece, Gorizia da sempre ha avuto una storia molto travagliata, poiché saranno quasi sempre gli eventi bellici a segnare in modo peculiare la vita di questa città! 

La sua storia ebbe inizio attorno all’anno 1000, è per lungo tempo è stata crocevia di tre civiltà: latina, slava e germanica, e proprio a quest’ultima, la città è stata legata dal 1509 sino al 1918. 

Infatti, anche dopo l’unità d’Italia (1861) il confine tra il Regno d’Italia e l’Austria-Ungheria (la Jugoslavia era ancora ben lontana dal nascere) vedeva l’odierno Trentino-Alto Adige fare ancora parte dell’Impero asburgico. 

Pensate che tuttora nella campagna attorno alla cittadina di Palmanova è possibile incontrare cippi di confine che portano la data del 1911, anno in cui una commissione bilaterale si occupò di apportare le nuove modifiche dei confini.

In quegli anni l’Italia era separata da Gorizia da soli 15 chilometri; e per quella manciata di chilometri durante la Prima Guerra Mondiale perirono centinaia di migliaia di soldati degli entrambi gli schieramenti. 

Di fatto Gorizia, posta sul principale fronte tra Austria e Italia, fu teatro di scontri sanguinosi (famose le 12 battaglie dell’Isonzo), trovandosi ad essere campo di battaglia per più di due anni. Solo con il tracollo dell’Impero Austroungarico e la fine della guerra (1918) attraverso i trattati di Saint-Germain portarono alla definitiva restituzione di Gorizia all’Italia. 

Giunti nel 1922, con l’avvento del regime fascista, si procedette a un’italianizzazione forzata della vasta provincia di Gorizia, poiché di fatto sino ad allora era abitata dalle sole popolazioni slave. 

La città vide la costruzione di alcuni edifici pregevoli come il Palazzo delle Poste e quello della Camera di Commercio; ma soprattutto, poco distante dalla città venne avviata la costruzione del superbo sacrario militare di Redipuglia. 

Bisogna precisare, che la stessa località di “Redipuglia” fu una italianizzazione del toponimo sloveno “Sredi Polje”, che tradotto significava semplicemente: “campo di mezzo”. 

Va anche detto che in questa località non c’è un paese nel senso vero del termine, ma sicuramente è uno dei luoghi migliori ad offrire la conoscenza diretta della “Grande Guerra”. 

Dunque, fu il regime fascista a volere fortemente che l’imponente monumentale sacrario, il cui progetto fu affidato all’architetto Giovanni Greppi affiancato dallo scultore Giannino Castiglioni, fosse costruito proprio in questo martoriato territorio ad imperituro ricordo dei 100.857 soldati morti per la sua conquista. L’opera si adagia sul versante occidentale del monte Sei Busi, cima aspra- mente contesa nella prima fase della guerra; la sua costruzione fu concepita su tre livelli per offrire l’idea di un esercito che scende dal cielo alla guida del suo comandante. 

Va detto che la struttura è di grande impatto visivo ed emozionale. Infatti, in cima, tre croci richiamano l’immagine del monte Golgota e la crocifissione di Cristo, mentre la creazione di sette balze concentriche sembrano alludere ai gironi del purgatorio dantesco. 

A sua volta, la sommità del poggio, livellata a formare un ampio piazzale, ospita una colonna tratta dagli scavi di Aquileia alla cui base vi è una cappella votiva. Percorrendo il suggestivo percorso della “via Eroica”: una strada delimitata da 38 targhe in bronzo che indicano i nomi delle località contese durante la Grande Guerra, si arriva alle maestose tombe dei generali, tra le quali spicca quella del comandante della Terza Armata: Emanuele Filiberto, Duca d’Aosta. 

Pensate che il suo sepolcro è formato da un blocco di marmo rosso dal peso di 75 tonnellate, al suo fianco si trovano invece le tombe in granito dei cinque generali periti anch’essi durante i combattimenti. Alle spalle si elevano 22 gradoni (alti 2,5 metri e larghi 12) che, in ordine alfabetico, custodiscono le spoglie dei 39.857 soldati identificati. Davvero molto commovente vedere che ogni loculo è sormontato dalla scritta “Presente”. 

Arrivati al termine della scalinata e dei gradoni, due grandi tombe coperte da lastre di bronzo custodiscono i resti degli oltre 60mila soldati rimasti ignoti.

È doveroso ricordare che tra le conseguenze del collasso austriaco ci fu la nascita del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, che in seguito assumerà il nome di Jugoslavia; e che gli eventi storici e politici immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale ebbero pesanti e durevoli ripercussioni su Gorizia. Infatti, dopo la sconfitta della seconda guerra mondiale, all’Italia gli fu presentato subito il debito da saldare per aver appoggiato la follia di Hitler. 

Di fatto, oltre a perdere tutti i possedimenti e le colonie, la città di Trieste restò in bilico. La definizione di questo confine divenne un tema delicato, risolto solo attraverso lunghi ed estenuanti trattati. In base agli accordi di Parigi (1947), poi con gli accordi di Londra (1954), Trieste tornò all’Italia, ma tutta l’Istria e la Dalmazia passarono alla Jugoslavia. 

Stessa sorte per la valle dell’Isonzo e per parte della città di Gorizia, che visse la situazione più surreale: divisa a metà! Diventando di fatto la “Berlino italiana”. A segnare il nuovo confine, furono dapprima stesi cavalli di Frisia e filo spinato, in attesa che venisse costruito un muro, che ancor prima di quello ben più famoso di Berlino, divenne il simbolo della separazione tra Est e Ovest. 

Prese corpo così quel confine che divise case, strade e famiglie; dove al di là di esso nasceva la città di Nova Gorica. 

La divisione del territorio di Gorizia vide la Jugoslavia prendersi circa il 60% del territorio cittadino e molte infrastrutture, la più strategica, sicuramente era la linea ferroviaria con la sua importante stazione. Curiosamente ancora oggi questo edificio, dove arrivano e partono i treni, si trova in terra slovena, mentre le strade che arrivano nel piazzale della stazione, in Italia. Giunti nel 2007, con l’applicazione degli accordi di Schengen, il confine tra Italia e Slovenia fu definitivamente abolito, il muretto in cemento con rete metallica venne smantellato, consentendo finalmente al Piazzale della Transalpina di unirsi alla propria stazione ferroviaria. 

Di fatto una pavimentazione di diverso colore del selciato ha preso il posto del “muro”, inoltre di tanto in tanto sono state collocate delle pietre circolari che rammentano il confine tra i due Stati. 

Una soluzione questa, che consente finalmente il libero movimento alle persone, e curiosamente, di poter stare nello stesso momento con un piede in Italia e uno in Slovenia. 

E’ doveroso annoverare che nel 1951 sul colle che sovrasta Medea (poco lontano da Gorizia) fu eretto il maestoso monumento “Ara Pacis Mundi”,  dedicato ai caduti di tutte le guerre. 

Ebbene, bisogna sapere che questo monumento, ideato dall’architetto Mario Bacciocchi, custodisce le zolle di terra provenienti da tutti i cimiteri di guerra nazionali, da tutti i fronti e dai campi di internamento e sterminio; nonché le terre raccolte nei paesi che sono diventati teatro di nuovi conflitti scoppiati in Europa e nel mondo; comprese le zolle di terra portate da Nassiriya e Herat (Iraq) dove trovarono la morte molti nostri connazionali. Inoltre, all’interno di una camera ipogea è stata posta un’urna in legno e bronzo con la scritta: “Odium parit mortem, vitam progignit amor”, e cioè: “L’odio produce morte, l’amore genera vita”. 

Un monumento che simboleggia il dolore e la distruzione che in ogni guerra accomuna vinti e vincitori. 

Ecco, proprio gli stessi sentimenti che oggi a causa di un insensato conflitto bellico stanno coinvolgendo il popolo russo e quello ucraino. Un conflitto fratricida che noi tutti ci auguriamo possa terminare al più presto; con l’augurio che la nostra prossima “Meraviglia” sia proprio la ritrovata PACE…

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