Dopo la sentenza sull’aborto, la Corte a maggioranza conservatrice limita drasticamente il potere dell’Agenzia per la protezione ambientale, che non potrà più limitare le emissioni del settore energetico. Era l’ultima arma di un presidente bloccato dal Congresso e accerchiato dalle lobby
Dopo il possesso di armi e il diritto all'aborto, è arrivata una terza sentenza della Corte suprema a spaccare gli Stati Uniti e minare la capacità dell’amministrazione Biden di costruire il paese che immaginava quando è stato eletto.
In questo caso si parla di clima e le implicazioni sono globali: con un voto di 6 (conservatori) contro 3 (liberal), i giudici hanno stabilito che la Environmental Protection Agency (Epa), l’agenzia creata nel 1970 da Nixon per la tutela dell’ambiente, non ha il potere di regolare le emissioni delle centrali di energia.
Può sembrare una questione tecnica, ma è un colpo durissimo contro la possibilità che gli Stati Uniti arrivino all’obiettivo prescritto dalla scienza e fissato dal presidente di dimezzare le emissioni di gas serra entro la fine del decennio.
Con l’enfasi propria del personaggio, ma cogliendo il punto, il climatologo della Nasa Peter Kalmus ha commentato che «le ramificazioni di questa sentenza potrebbero durare per migliaia di anni».
La Corte Suprema ha accolto il punto di vista dello stato che aveva sollevato il caso, la West Virginia, secondo il quale devono essere i rappresentanti del Congresso e non «burocrati non eletti» a stabilire le regole su quanto possa inquinare una centrale di energia.
Si tratta però dello stesso Congresso in stallo, dove il piano Build Back Better di Biden, quello che conteneva le ampie ambizioni climatiche del presidente, si è arenato anche per l’opposizione di un senatore, il democratico Joe Manchin, eletto proprio nella West Virginia.
Il piccolo stato sugli Appalachi è il grande produttore di carbone d'America: con meno di due milioni di abitanti è riuscito a paralizzare le ambizioni ambientali dei due principali centri di potere negli Stati Uniti.
Con questa sentenza vincono i grandi produttori di combustibili fossili e gli stati repubblicani che avevano appoggiato il caso, dal Texas al Kentucky.
L’effetto è che da oggi la seconda economia per emissioni al mondo ha le mani legate sia sul piano legislativo che su quello esecutivo delle agenzie federali, l’ultima carta che Biden poteva giocarsi.
Era per altro nell'aria: la Corte suprema turbo-conservatrice modellata da Trump aveva già limitato il potere di altre agenzie di imporre la vaccinazione sui luoghi di lavoro o bloccare gli sfratti durante la pandemia.
Questa è una storia complicata, con tratti quasi paradossali, che attraversa tre presidenze: Obama, Trump e Biden. Tutto inizia nel 2015, quando Obama prova a costruire la sua eredità ecologista su una misura chiamata Clean Power Plan, che allora era il più drastico tentativo nella storia degli Stati Uniti di combattere la crisi climatica.
Era il suo biglietto da visita per presentarsi credibile ai negoziati per l’accordo di Parigi, che si sarebbero tenuti pochi mesi dopo.
Nel presentarla agli americani, Obama citò addirittura l’«obbligo morale» contenuto nell’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco.
Il piano assegnava agli stati obiettivi di riduzione delle emissioni e all’Epa il potere di vigilare e imporle. Fu accolto da una pioggia di ricorsi e cause legali e di fatto non è mai entrato in vigore.
Come un fantasma legislativo, il Clean Power Plan non ma hai avuto effetti sulla realtà economica americana, ma ha continuato a vivere come questione giuridica, fino alla sentenza di ieri, che chiude il caso e apre una nuova frattura.
La decisione della Corte suprema va molto oltre l’aver sepolto una misura ormai immaginaria di due amministrazioni fa: toglie all’agenzia di regolamentazione ambientale degli Stati Uniti la possibilità di imporre standard sulle emissioni di CO2, chiudendo Biden in un vicolo cieco.
Niente Congresso, perché non ci sono i voti, e chissà se ci saranno dopo le elezioni di midterm. Niente Environmental Protection Agency, perché ormai non ha più il potere di imporre standard e regole.
Il piano per il clima, modellato sul Green New Deal dei giovani progressisti alla Ocasio-Cortez che avevano ridato linfa al partito durante le primarie, è senza armi.
Il Sunrise Movement, l’equivalente americano di Fridays for Future, ha scritto su Twitter: «Questa sentenza dimostra che il sistema è manipolato contro di noi. Una Corte suprema che vota a favore dell’industria delle fonti fossili e contro la salute e la sicurezza dei cittadini è contro la vita e illegittima».
Anche in questo caso, si può spogliare il messaggio dall’enfasi e coglierne il punto: la situazione in cui la sentenza lascia gli Stati Uniti è un gap che diventa ancora più ampio tra quello che si deve fare secondo la scienza, quello che Biden ha assicurato di essere in grado di fare, e il potere effettivo di farlo con gli strumenti che la complicata democrazia americana mette a disposizione del presidente.
Gli obiettivi che gli Stati Uniti avevano presentato al mondo sono il taglio del 50 per cento delle emissioni al 2030 e la totale decarbonizzazione del settore elettrico (seconda fonte di emissioni per gli Usa dopo i trasporti) al 2035. Da oggi sembrano quasi una chimera.
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Giornalista. Napoletano, come talvolta capita, vive a Milano, per ora. Si occupa di clima, ambiente, ecologia, foreste. Per Domani cura la newsletter Areale, ha un podcast sui boschi italiani, Ecotoni, sullo stesso argomento ha pubblicato il libro Italian Wood (Mondadori, 2020).
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